Segnali da un Nuovo Mondo

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Vertigini!? Quali vertigini? La vertigine di chi perde l’equilibrio? di chi Ë salito troppo in alto? di chi è rimasto sbalordito da qualcosa di immane, di sublime? E perché questa vertigine? Perché si prova a stare sul bordo di un abisso? perché improvvisamente si guarda il mondo attraverso un caleidoscopio? Forse è la vertigine di Alice che cadendo nella tana perde la misura? o quella del capitano Achab nel vedere la schiena inarcata della grande balena bianca che si inabissa nel mare? o quella dei personaggi di Dostoevskij quando guardano negli occhi il male? Forse è la vertigine che l’artista sente quando la sua opera è “finita”?

E’ sintomatico che dei giovani architetti abbiano voluto chiamare la loro prima mostra VERTIGINI.

Quale è la loro vertigine? Leggiamo i loro testi.

Luca Missio. E’ la metropoli. Nel suo caso Manhattan a New York. E’ qui che abita un ordine, una ragione, la griglia urbana illuminista, reificante, strumento che annulla “diversità e varietà”. Ebbene, innalzandosi verso il cielo con i suoi grattacieli questa ragione sembra aprirsi all’imprevedibile (Ecco la vertigine!) nel quale siamo destinati a vivere (ad abitare, scrive Missio) nel nuovo tempo del Web, così astratto, atopico, rizomatico.

Oltre la metropoli non c’è altro che la metropoli e all’artificiale non si contrappone più il naturale, ma altra artificialità. La nuova città non può più avere, nella totalità dello sprawl, un territorio vergine nel quale ritualizzare la propria fondazione, puù solo vampirizzare l’esistente tecnologico. Il dato archetipale è la stessa artificialità che preesiste a se stessa, nel tempo della tecnica. Abitare in questo tempo significa convivere con la vertigine imparando ad orientarsi nel vertiginoso … ed in esso costruire per abitare e abitare per costruire.

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Antonella Indrigo e Sara Merizzi. La vertigine qui è nel frammento, quel frammento che oggi ha perso l’aura benjaminiana per assumere quella del frattale, lo “smarrimento del frattale”, scrivono. Non c’Ë nel progetto di Antonella e Sara – un museo dedicato a Piranesi – nessun cedimento romantico all’estetica del frammento. Quel cedimento che fa esclamare ad alcuni pateticamente :” Poveri noi! Nati in un tempo in cui tutto è frammento, orfani del TUTTO e quindi del senso come dei valori ….” Antonella e Sara decostruiscono (incontrando così il frammento) e ricostruiscono il meccanismo stesso della frammentazione. Partono da una unità, la frammentano e la dislocano in luoghi altri, lontani tra loro. Producono così un tutto virtuale, altra parola del cosa ma la relazione tra le sue parti come se il possibile fruitore fosse dotato di una sorta di nuova memoria che si costruisce nel mettere in relazione tra loro gli spazi; una memoria capace di connotare gli spazi nella ubiquità dislocando così di volta in volta lo stesso soggetto … come se tempo e spazio confluissero per permettere una nuova capacità cognitiva e con questa delle nuove sensazioni del mondo e per il mondo.

Stefano Milani. Il luogo della vertigine Ë Venezia. Si dir‡, allora, che ciò è dovuto al carattere della città stessa, al suo essere liquida, labirintica, fondamentalmente improbabile. Non così per Stefano Milani. A produrre la vertigine non sono le cose, non è il mondo, ma il suo stesso sguardo sul mondo. Uno sguardo intimamente e nel contempo oggettivamente decostruttore. La decostruzione sembra darsi non come un atto di volontà, come esito di una qualche filosofia, ma come una condizione stessa del bios. Scrive Stefano Milani: ” … si Ë tentato un approccio al fenomeno attraverso una decostruzione macchinica dello sdoppiamento esistente tra le categorie interpretative soggetto/oggetto, reale/immaginario, sensibile/intelligibile assunte dal pensiero moderno” E’ come se la vertigine si fosse installata (sic!) in quella parte del nostro cervello che regola il sistema binoculare permettendo alla visione retinica di sospendere lo spazio e il tempo. E’ come se questo sguardo fosse l’esito di una mutazione genetica: E’ cosÏ che Venezia (ma vale per qualsiasi altro fenomeno) può essere vista come un “blocco di sensazioni”, come un evento e non pi˘ come un dato. Forse questo sguardo è vertiginoso perché nel vuoto genera panorami o sguardi che aprono alla possibilità di nuove “essenze” ( così nel testo), in realtà aggiungo nuovi mondi.

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Tre diversi modi della vertigine, con alcuni aspetti in comune.

Segnaliamoli: nessuna autocompassione di fronte alla vertigine, anzi essa non viene avvertita come un disagio, ma come una risorsa. Il progetto di architettura Ë mentale e ,in questo, potenziale. Lavorano sulla concettualità prima che sulla fattualità (senza contrapporre concettualià e fattualità). La virtualità viene pensata come una possibile estensione della stessa capacità percettiva quindi come una nuova estetica, sempre ricordando che estetica deriva dal greco aisthesis, cioè percezione sensibile. Il futuro (e quindi il progetto) viene continuamente ricondotto al presente in quanto, appunto, virtuale. Ciò che è fondamentale è far nascere il testo architettonico dal contesto cioè dalle infinite relazioni dell’esistente che nel contesto “prendono forma”.

Tutti sintomi che segnalano l’esitenza di una generazione che opera oramai oltre al primato della storia, che riduce passato e futuro al presente, che non ha più bisogno dell’utopia per prefigurare il possibile, che intende mettersi continuamente in “rete”, che è disposta a mettere in discussione la propria stessa capacità di percepire il mondo. Una generazione che prova a pensare e a fare al di là della dicotomia tra naturale e artificiale, perché cosciente che tutto si è antropizzato, tutto è nell’artificio, un artificio non più meccanico, ma definitivamente bitico.

Testo di Presentazione: prof. Roberto Masiero

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