IMG ArtiArchitetturaTra i molteplici eventi organizzati da Genova, capitale europea della cultura per il 2004, si è chiusa, lo scorso 13 febbraio, la mostra “Arti & Architettura. 1900-2000”.

Questo evento diviene occasione e spunto per riflessioni sull’architettura e sullo stato dell’arte in prospettiva dei cambiamenti e delle trasformazioni che anche la nostra Udine sta subendo senza magari averne ancora chiara coscienza. In tale ottica, la lettura della mostra che si vuole proporre non intende indagare sui modi e sui rapporti che intercorrono tra l’arte e l’architettura, ovvero della presunta osmosi linguistica tra le due discipline, già temi di confronto aperti tra differenti posizioni della critica architettonica, ma piuttosto una interpretazione che vada oltre ciò che il titolo della rassegna sembra voler postulare, analizzando così le relazioni tra le tensioni di trasformazione estetica del mondo, operata dagli architetti e dagli artisti, con le evoluzioni-accelerazioni manifestatesi in discipline apparentemente estranee: dalla filosofia alla matematica ed alla fisica,  dalla sociologia all’antropologia ed alla politica. E’ noto come nel XX secolo il sapere scientifico abbia progressivamente perso il carattere di episteme per acquisire lo statuto di doxa, ossia non più corpo della conoscenza ma piuttosto sistema di ipotesi, capace di mutare l’idea stessa di ragione che, persa la sua unità, si è pluralizzata in ragion pratica, ragione tecnica, utilitaria. E quella stessa idea di razionalità, che da Socrate a Comte aveva rappresentato un asse fondamentale dell’Occidente, ora viene a dissolversi nel nichilismo Novecentesco a sua volta soppiantato dal pensiero post-metafisico di fine millennio. La crisi dei valori, il relativismo intellettuale e morale, la dissoluzione dell’idea stessa di verità, un pessimismo orientato al declino, la fine della concezione lineare ed ascendente della storia, nonché le recenti e paradossali teorizzazioni sulla “fine del tempo” ovvero sulle prove della non-esistenza del tempo prefigurato invece come semplice “invenzione” delle nostre strutture cognitive, sembrano chiaramente denunciate-enunciate nell’evoluzione figurativa e spaziale delle opere presenti alla mostra. Percorrendo le sale espositive, senza entrare nel merito sulla qualità, relazione, presenza – nonché assenza – delle opere, quello che si percepisce è una sorta di “vettore” o “forza”, quello che verrebbe definito “attrattore strano” nella teoria del Caos, piuttosto che la “mano invisibile” delle teorie economiche.

La rassegna, attraverso le 1060 tra opere e modelli distribuiti lungo un percorso temporale di un secolo, avvalorando peraltro il fatto che la geometria sia ormai divenuta il nuovo referente dell’architettura, ne testimonia anche la sua evoluzione, passata da una concezione lineare (linee, superfici, volumi cartesiani) ad una dimensione bitica (neuronale, o meglio neurale), in conformità all’evoluzione della teoria matematica, che da intuizionista è passata alla dimensione computazionale, il “punto” sembra divenire il nuovo paradigma; punto come espressione e tema chiave della cultura digitale che si fonda su interattività, assenza di gerarchie, modularità, infinitudine. Essendo indubitabile che tutta la riflessione sull’architettura sia imprescindibile dall’ambiente culturale in cui è immersa, la mostra sembra svelare indirettamente proprio questo legame. Lo spazio-tempo del cubismo e delle prime avanguardie novecentesche viene soppiantato dall’istantaneità, dal qui-ed-ora (e forse mai più) dell’inconsistenza ed evanescenza immateriale del flusso bitico delle informazioni che corrono sulle “autostrade” a banda larga.

Nuove forme espressive, basate su elementi concettuali, teoretici e poetici, hanno progressivamente preso il posto di quelle basate sull’uso di mezzi espressivi plastici e pittorici, nel contesto di una sempre più evidente interdipendenza tra arte-architettura-industria, tra arte-architettura-scienza, tra arte-architettura-linguistica; correnti che si sono valse di una nuova concezione segnica e gestuale, ove il denominatore comune delle nuove espressioni è da ritrovare in una sorta di processo di sospensione del “contenuto-significato-funzione” in direzione di una iconizzazione assoluta.

L’architettura si da come un sognare ad occhi aperti un luogo ed un tempo altri, in direzione di un definitivo sfondamento dei confini tradizionali prendendo forma attraverso l’utilizzazione di nuove tecniche e di nuovi materiali ma soprattutto attraverso l’elaborazione di nuove procedure operative. L’onnipresenza del calcolatore sulle scrivanie – e nelle menti – degli architetti ha influenzato il modo di pensare ogni cosa, dalla struttura dell’intelligenza fino alle leggi di natura, agendo imprescindibilmente sul paesaggio antropizzato e traformando il cantiere nel luogo del “montaggio” dell’architettura in quanto il momento della sua “costruzione” si è trasferito nella dimensione immateriale e bitica della modellazione CAD e delle apparecchiature a controllo numerico della siderurgia pesante che ne realizza fisicamente le parti.

Il tradizionale concetto di materia non ha retto al confronto con i contributi teorici e sperimentali della scienza contemporanea: dimentica di supporto, colore e pennello, l’opera d’arte ha perso definitivamente la cornice e si è tramutata in performance, al pari dell’architettura che, assumendo sempre più lo statuto di effimero, di temporaneo, nell’ottemperanza di un chiaro assoggettamento alla logica del consumo, ha perso via via i suoi elementi caratteristici; le finestre, già trasfigurate in un nastro da Le Corbusier, scompaiono dalle facciate o, se vi rimangono, assumono l’aspetto di tagli chirurgici senza cornici o si estendono a tutta la facciata.

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Le facciate stesse, a loro volta, perdono il significato originario dissolvendosi in nuove forme e configurazioni assecondando una tendenza a rendere più virtuale il reale, mettendo in discussione la stessa materialità dei materiali attraverso una dematerializzazione sia fisica che fenomenica. La mostra quindi, si è offerta quale messa in scena ed occasione di riflessione su “chi siamo” e “dove stiamo andando”.

La prossima volta che passeggiamo per le strade della città, forse ci accorgeremo che è possibile anche a Udine scorgere i segni di queste trasformazioni; in fondo anche Udine, ed i suoi cittadini, sono “nel Mondo”.

luca.missio

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